Alla vigilia della Cop30, che si terrà nel 2025 a Belém, in Brasile, l’attenzione internazionale sulla crisi climatica sembra essersi affievolita. Le priorità politiche e mediatiche si spostano altrove, mentre i segnali della Terra si fanno sempre più forti. L’uragano Melissa, con la sua scia di devastazione e vittime, ci ha ricordato che gli eventi estremi non sono più eccezioni ma parte di una nuova normalità. Dalle inondazioni alle ondate di calore, dai ghiacciai che scompaiono alle foreste che bruciano, il pianeta continua a mandare messaggi inequivocabili. Eppure, i negoziati globali sul clima arrancano, intrappolati tra interessi economici, promesse mancate e strategie di breve periodo. Come spiega Paolo Brivio, serve un cambio di passo: “Non basta parlare di transizione ecologica, serve una conversione culturale profonda — che parta dal riconoscere la nostra interdipendenza con la Terra e con chi ne subisce le conseguenze peggiori.”

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